SE L’UE RIDUCE IL NOSTRO FORMAGGIO IN POLVERE

In questi mesi tanto si è discusso sul tema dei formaggi prodotti con il latte in polvere, una realtà che in Italia è sempre stata ai più sconosciuta in virtù di una norma che ne ha da lungo tempo vietata la produzione. Con il presente articolo cercherò di spiegare, attraverso il meccanismo di domanda-risposta, le dinamiche che caratterizzano questo tema molto delicato per i nostri allevatori.

Ma andiamo con ordine: lo scorso 28 maggio (2015) l’Unione Europea ha recapitato all’Italia una lettera di costituzione in mora, propedeutica rispetto all’apertura di un’ennesima procedura d’infrazione, in quanto, a detta dei tecnici della commissione, il nostro Paese sarebbe colpevole di non aver rimosso una legge, la 138/1974, che vieta la produzione di formaggio con latte in polvere. Passiamo dunque alla prima domanda.

Perché l’unione europea tenta di imporre all’italia l’abrogazione di tale legge?

Questa risposta è da molti organi d’informazione data per scontata, ma per i non addetti ai lavori cela grosse incognite.

Bisogna innanzitutto dire che il Trattato di funzionamento dell’Unione Europea, che unitamente al Trattato dell’Unione Europea costituisce il pilastro fondamentale su cui poggia l’esistenza dell’UE, prevede all’art. 28 la “libera circolazione di merci”. I firmatari del trattato (che fu sottoscritto in Roma nel 1957 e successivamente modificato, in ultimo a Lisbona nel 2007) stabilirono infatti che “l’Unione comprende un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l’adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi.” In parole ancor più semplici la norma sancisce che tutte le merci prodotte all’interno degli stati membri possono circolare liberamente all’interno dell’Unione Europea.

Perché il divieto di produrre formaggi in polvere sarebbe contraria alla libera circolazione di merci?

L’Italia è l’unico Paese fra tutti gli aderenti all’Unione Europea che vieta la produzione e la messa in commercio di formaggi preparati con il latte in polvere. Da ciò ne consegue che, per esempio, se un produttore tedesco volesse vendere il suo formaggio prodotto con latte in polvere in Italia non potrebbe farlo poiché, anche seguendo scrupolosamente tutte le norme tedesche e comunitarie che disciplinano la produzione casearia, la legge italiana lo vieterebbe comunque. In questo senso dunque il contenuto della legge 138/1974 limita la libera circolazione di merci e secondo i tecnici della commissione Europea l’Italia dovrebbe immediatamente provvedere alla sua rimozione.

Perché allevatori e casari si oppongono fermamente alla produzione di latte in polvere?

Un chilo di latte in polvere costa circa due euro, e permette di produrre dieci litri di latte liquido. Alla stalla, invece, il prezzo del latte è di 36 centesimi. Un duro colpo quindi al settore caseario italiano, già fortemente provato dalla crisi e dalla lunga vigenza delle quote latte (abolite dal primo aprile 2015) che porterebbe dunque gli allevatori a dover soffrire una concorrenza al ribasso che andrebbe a compromettere irrimediabilmente la qualità dei prodotti. Sotto questo profilo è intervenuta con forza anche la Coldiretti, affermando che un via libera al latte in polvere metterebbe a serio rischio gli oltre 487 formaggi tipici italiani ottenuti secondo tecniche di lavorazione perpetrate nei secoli che ne hanno garantito un livello qualitativo inarrivabile. Va specificato che gli effetti di un’eventuale abolizione della legge 138 non avrebbe ripercussioni su formaggi DOP quali il Parmigiano Reggiano o la Mozzarella di Bufala, soggetti a rigidi disciplinari di produzione, bensì andrebbe a colpire le centinaia di tipicità celate in ogni angolo del nostro Paese e ancora sprovviste di riconoscimento. Fra queste il più celebre è certamente il Fior di latte il quale, a differenza della mozzarella di Bufala, è sprovvisto tanto di DOP quanto di IGP.

Quali sono gli argomenti delle persone favorevoli all’abolizione del divieto della produzione di latte in polvere?

Per par condicio è giusto che vengano riportate le valide argomentazioni di coloro i quali sostengono la giustizia di abrogare la legge 138/74. Fra questi emerge Assolatte, la sigla di categoria, la quale sostiene che l’Italia, a fronte di un’esportazione annuale di 330.000 tonnellate di formaggio, ne importa 550.000 tonnellate. Da sottolineare poi l’intervento di Roberto Rubino, ricercatore presso il ministero dell’Agricoltura, il quale sostiene che non necessariamente il latte in polvere sia meno salutare e buono di quello normale e che quindi darebbe prodotti più scadenti. Infatti, afferma il Rubino, “certo latte in polvere prodotto in Argentina o Nuova Zelanda dove si alleva al pascolo è di qualità superiore rispetto al latte prodotto nelle fattorie intensive italiane”.

Quali prospettive?

Benché il dibattito sia molto acceso, pare che l’Italia sia decisa con forza a mantenere il divieto della produzione di latte in polvere. Infatti il Governo italiano, attraverso una lettera mandata a Bruxelles, ha ribadito che non intende adeguarsi alla normativa europea. È probabile a questo punto che l’UE provvederà ad aprire una nuova procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, che, mi permetto di affermare, palesa una volta di più la difficoltà di un’Europa che pretende di regolamentare univocamente dinamiche e territori diversi tra loro che, per logica conseguenza, rispondono a istanze diametralmente opposte le une dalle altre.

Considerazioni finali

In ordine all’argomentazione fatta da Assolatte circa le cifre dell’import/export dei formaggi mi permetto di sottolineare che fino al 1 aprile 2015 i produttori di latte erano soggetti a un forte tributo una volta superata la quota latte di loro competenza, la qual cosa fungeva da vero e proprio dissuasore alla produzione e incentivava l’importazione di latte estero che, a sua volta, determinava un rialzo dei prezzi sul prodotto finale. La fine delle quote latte contribuirà, a giudizio di chi scrive, sicuramente alla competitività dei prodotti caseari italiani sul mercato estero.

Merita invece una riflessione approfondita la rivelazione fatta da Roberto Rubino. Non a torto, infatti, egli riporta come l’Alta Qualità, un prodotto industriale, sia diventato per legge lo standard e sulla base dello stesso la Coldiretti e le associazioni industriali fissano ogni anno un prezzo unico nazionale mandando fuori mercato l’80% dei pascoli di montagna. L’Italia, dunque, paga lo scotto delle sue stesse politiche, forse troppo spesso omologate a quelle di altri Paesi i quali però soggiaciono a dinamiche diverse da quelle del nostro. Come controbattere, infatti, all’argomentazione che sostiene che un latte in polvere prodotto da vacche da pascolo in Argentina o Nuova Zelanda sia meno qualitativo di un prodotto industriale italiano? Difficile dirlo, ma è certo che un passo fondamentale per tutelare la qualità del Made in Italy lo debba fare proprio lo Stato Italiano attraverso una più attenta tutela dell’artigianalità dei prodotti.

Infine, e concludo, è da sottolineare come la vera battaglia portata avanti dagli allevatori e casari nostrani non verte esclusivamente sull’abolizione o meno della legge 138/1974. O meglio, è indirettamente legata ad essa. La difesa della norma infatti è così strenua giacché non esiste ancora a livello comunitario una disposizione che imponga obblighi precisi sull’indicazione e la tracciabilità degli ingredienti. Il vero pericolo che soggiace alla richiesta dell’UE, dunque, è che in seguito all’eventuale abolizione del divieto di produrre formaggio con latte in polvere, il consumatore al supermercato non possa distinguere un prodotto fatto con il latte tradizionale da quello in polvere e, nell’inconsapevolezza di tale distinzione, egli si rivolgerà spesso al prodotto più conveniente che, senza dubbio, sarà sempre quello derivato dal latte in polvere.

Dott. Angelo Riva

Studio legale Bacco et Cerere

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